La meglio gioventù (2003): Recensione

La meglio gioventù, recensione del film diretto da Marco Tullio Giordana che prende spunto dalla raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini. Uscito nelle sale italiane il 22 giugno 2003

VOTO MALATI DI CINEMA 9 out of 10 stars (9 / 10)

La meglio gioventù è il titolo di una raccolta di Poesie di Pier Paolo Pasolini e di una vecchia canzone degli alpini in cui possiamo leggere la seguente frase che incarna il senso del film: “Siamo stanchi di diventare giovani, seri o contenti per forza, o criminali, o nevrotici: vogliamo ridere essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare. Non vogliamo essere subito così senza sogni”. (Pier Paolo Pasolini, La meglio gioventù).

I riferimenti cinematografici che stanno dietro alla meglio gioventù sono il cinema di Luchino Visconti (Rocco e i suoi fratelli) ed Ettore Scola (La Famiglia).
La storia narra delle vicende familiari dei fratelli Carati dal 1966 al 2003. Matteo, impersonificato da Alessio Boni, e Nicola, interpretato da Luigi Lo Cascio, diversi per carattere e amicizie. Attraverseranno gli eventi più significativi della storia italiana ognuno rispondendo a modo proprio. Nicola dopo la maturità deciderà di trascorrere un lungo periodo in Norvegia per poi rientrare in Italia ed iscriversi alla facoltà di Medicina per diventare uno Psichiatra.
Al contrario Matteo, irrequieto ed ipersensibile, sceglierà di arruolarsi in polizia per cercare di dare ordine al suo travaglio interiore. Questo rappresenta il punto di inizio, ma vi sono diversi altri personaggi che si intrecciano all’interno della vita dei due fratelli.

Un personaggio cruciale che fa da elemento di congiunzione di tutta la storia è Giorgia (interpretata da Jasmine Trinca), una ragazza con un male all’apparenza incurabile e non compreso, vittima del male del manicomio e poi salvata dall’intervento di Matteo e Nicola. Il rimando ai principi di Basaglia nel film è esplicito e viene inoltre mostrato in maniera accurata e precisa quali erano i principi di cura dello psichiatra Italiano. Giorgia nel film si trasforma da semplice osservatrice della propria vita ad essere attrice e protagonista. Dal punto di vista della scenografia rappresenta un personaggio di svolta per Matteo. Una scena che merita attenzione è quella in cui Matteo, Nicola e Giorgia sono al mare, rimando cinematografico a Jules e Jim di Truffaut.

Ciò che mi ha affascinato della visione del film, della durata di 6 ore, è come il racconto non perda mai di ritmo ed il modo in cui le vite di Matteo e Nicola si intrecciano a tutti i luoghi ed avvenimenti più significativi della storia italiana: l’alluvione di Firenze, in cui i fratelli si incontrano dopo alcuni anni a salvare dei libri (quella passione li ha sempre uniti), o la lotta contro la mafia (la sorella maggiore sarà un magistrato al fianco di Giovanni Falcone), la Milano di Tangentopoli (in cui un loro amico lavora per la Banca d’Italia, interpretato da Fabrizio Gifuni), oppure gli anni di piombo (la compagna di Nicola diventerà una brigatista), e per concludere la chiusura dei manicomi, in cui al processo sono i pazienti di Nicola a testimoniare per le sofferenze subite.
Inoltre il finale pieno di speranze rappresenta proprio quel passaggio di testimone tra generazioni di attori più anziani a quelli più giovani. Il film si conclude con il figlio di Matteo, Riccardo Scamarcio, che farà il viaggio verso l’aurora boreale che il padre concretamente non era riuscito a compiere.

L’aspetto psicologico su cui interessa soffermare la mia attenzione è quello che in psicologia dello sviluppo prende il nome di “turning point”, ovvero momenti di svolta nel corso di una vita. Il film è pieno di questi momenti che segnano le vite dei personaggi in una direzione piuttosto che in un’altra. É evidente come le scelte fatte dai personaggi ricadano sulle loro vite e soprattutto quali siano le conseguenze.
Il personaggio più tormentato e più affascinante è Matteo che prova a domare la propria inquietudine con le regole rigide, si arruola prima nell’esercito e poi in polizia. Ma la sua pulsione interna non può essere domata da questa impalcatura così rigida e ferrea. La sua morte, da suicida, ma da eroe, costituisce il suo tentativo, appunto, di non poter esprimere la sua pulsione se non attraverso regole che però non lo mettono nella condizione di realizzarsi.
Al contrario Nicola rappresenta il personaggio che riesce a realizzare ciò che ha dentro, la sua vocazione di prendersi cura dell’altro, diventando uno psichiatra. Anche lui sarà lacerato dal dolore per la separazione dalla compagna e per la morte del fratello, ma si realizzerà come padre.

Per concludere, credo che il messaggio di speranza (che porta con sé le lacerazioni ed i dolori) sia che non si può guardare al futuro senza rivolgere uno sguardo su ciò che è stato, non possiamo realizzare i nostri sogni, come recitava Pasolini, se non abbiamo memoria di ciò che ci è successo e questo è descritto nel film attraverso innumerevoli punti di svolta in cui i personaggi fanno i conti con le loro scelte.