Ma Rainey’s Black Bottom (2020): Recensione

Ma Rainey’s Black Bottom, recensione del film diretto da George C. Wolfe con Chadwick Boseman e Viola Davis. Uscito negli Stati Uniti in streaming su Netflix il 18 dicembre 2020

VOTO MALATI DI CINEMA 9 out of 10 stars (9 / 10)

Ma Rainey’s Black Bottom, diretto da George C. Wolfe, viene distribuito il 18 dicembre 2020 a livello globale sulla piattaforma Netflix. Si tratta di un adattamento dell’omonima opera teatrale di August Wilson, pubblicata nel 1984.

La protagonista di questa interessantissima opera cinematografica è la diva del Blues Ma Rainey (Viola Davis), in tournée negli Stati Uniti alla fine degli anni ‘20. Ma Rainey è una donna afroamericana forte e indipendente, una donna la cui fama è tale da poter trattare il proprio produttore discografico e il proprietario di uno studio di registrazione di Chicago, suo manager, – due uomini bianchi – come meglio crede, molto spesso come degli zerbini.
Viola Davis è in grado di incarnare alla perfezione questa grandiosa diva dal carattere difficile, mostrandone, sì, la facciata di donna ricca e viziata, ma anche il lato nascosto di donna, per giunta afroamericana, che ha dovuto sudare e impegnarsi per guadagnarsi il rispetto dei bianchi, e non solo di quelli che lavorano per lei.
La vicenda si svolge in una giornata afosa trascorsa a Chicago da Ma Rainey e la sua band nello studio di registrazione: la band – composta da Levee (Chadwick Boseman), Toledo (Glynn Turman), Cutler (Colman Domingo) e Slow Drag (Michael Potts) – è già in sala prove, mentre Ma, accompagnata dalla sua amante Dussie Mae (Taylour Paige) e suo nipote Sylvester (Dusan Brown), è in ritardo.

Al momento dell’arrivo della diva, il proprietario dello studio deve non soltanto adattarsi alle regole della donna che gli fa vendere milioni di dischi, ma anche risolvere un diverbio tra Ma e un ufficiale di polizia, sborsando qualche banconota di tasca propria.
Eppure, sembra che i capricci di Ma Rainey non siano finiti: oltre a voler registrare la sua canzone “Ma Rainey’s Black Bottom” con l’arrangiamento classico e non quello vivace e più adatto alle folle preparato da Levee, la diva è decisa a far introdurre la canzone dal suo giovane nipote balbuziente. Le infinite prove della battuta estenuano tutti, tanto da richiedere diversi momenti di pausa che vedono la scena spostarsi nella sala prove interrata, dove i quattro componenti della band si affrontano su argomenti di grande spessore, dalla teologia alla politica.

È interessante come il regista sia stato in grado di far emergere il tema del razzismo in un modo per nulla convenzionale: i musicisti sono stanchi, hanno caldo, si prendono in giro, battibeccano, ma il rapporto tra di loro sembra tranquillo fino a quando Levee, il trombettista, non assume un atteggiamento da adulatore nei confronti del produttore che gli aveva chiesto di scrivere delle canzoni per poterle registrare.
Il monologo di Chadwick Boseman che occupa questa parte del film è a dir poco straziante: accusato dai suoi colleghi di “aver paura di un bianco”, Levee esplode raccontando una storia del suo passato che vede sua madre vittima di uno stupro da parte di diversi uomini bianchi. Sembra che con le parole di Levee la sceneggiatura del film – scritta da Ruben Santiago-Hudson – , abbia raggiunto il suo punto più alto… eppure non è così.

Poco dopo assistiamo ad una discussione tra Levee e Cutler a proposito dell’esistenza di Dio. Il personaggio interpretato da Chadwick Boseman è il più giovane dei quattro musicisti, spera di sfondare con la sua musica per lasciare la band di Ma e suonare in autonomia, senza dover eseguire gli ordini di qualcun altro. Levee è un sognatore, un uomo la cui infanzia è stata rovinata da quell’episodio traumatico che lo ha reso pieno di rabbia, frustrazione, una furia cieca ma silenziosa nei confronti dei bianchi e non solo.
Questi modi disperati e furenti vengono fuori proprio durante la discussione con Cutler, un uomo di Fede che non sopporta che qualcuno insulti o nomini il suo Dio, mancandogli di rispetto. Questo è il soggetto del secondo monologo affidato a Chadwick Boseman, in cui Levee è ormai un uomo delirante, distrutto dal rifiuto da parte del produttore, e minaccia il suo collega con un coltellino, sfidando Dio a mostrarsi e salvare Cutler. Anche se Dio esistesse, è evidente che non sia interessato alla vita degli afroamericani, stando alle parole di Levee.
La potenza dei monologhi è tale da mettere in ombra tutto il resto: la trama pare soltanto un pretesto per dare voce alle storie raccontate dai personaggi, alle loro emozioni così personali eppure universali. I soprusi reiterati vissuti da un popolo sono esemplificati in episodi di vita passata, sofferenze, vendette, emancipazioni.

Una voce femminile – quella di Ma Rainey – e quattro voci maschili – affidate ai musicisti – sono due facce di una stessa medaglia, punti di vista di una Storia comune.

Ma Rainey’s Black Bottom è un film che racchiude verità con una sceneggiatura piena di spunti di riflessione. Un’opera che denuncia, che racconta, che sfida, che mette in dubbio.
Le performance di Viola Davis e Chadwick Boseman sono di una prorompenza unica, così come l’interpretazione di Glynn Turman, nel ruolo di un uomo dilaniato dalla consapevolezza di non poter fare nulla per migliorare la propria condizione di afroamericano in un Paese razzista e xenofobo.

Consiglio la visione del film a chi è pronto ad emozionarsi, a porsi domande e arrabbiarsi di fronte alle ingiustizie che appestano il mondo in cui ancora oggi viviamo.