I tre film della vita

Quante volte vi siete trovati di fronte qualcuno che, a tradimento, vi ha fatto piombare tra capo e collo la domanda: “qual è il tuo film preferito?”

Impossibile dare una risposta secca, diretta, definitiva. E, di fatto, quante volte a quella scomoda domanda vi siete trovati a rispondere con frasi di circostanza, buttate lì per prendere tempo e pensarci davvero seriamente.

Mah ci dovrei pensare.” – “Beh ce ne sono tanti, impossibile sceglierne uno.” – “Ce ne sarebbero almeno cinque o sei, non saprei.”

In realtà no. Non sono cinque o sei e nemmeno uno solo. Se qualcuno vi chiede qual è il vostro film preferito sta sottintendendo che quello che nominerete è il vostro film della vita, quello che ha segnato un passaggio fondamentale del vostro percorso di crescita. Ma la vita di tutti noi è stata caratterizzata da tanti passaggi fondamentali. Piccole o grandi transizioni che ci hanno reso le persone che siamo oggi.

La nostra personalità ha subito cambiamenti radicali nel corso degli anni e così anche il nostro pensiero critico, la nostra emotività, il nostro gusto estetico e soprattutto il nostro bisogno. Perché noi in un film apprezziamo ogni singolo aspetto che ci ricorda quello di cui abbiamo bisogno nella vita di tutti i giorni. E’ il nostro inconscio a guidarci nella maggior parte delle decisioni che prendiamo ed è l’inconscio che, alla fatidica domanda: “qual è il tuo film preferito?” riuscirà a trovare la risposta.

La risposta è che nella nostra vita saranno tre i film fondamentali, quelli che ricorderemo per sempre. Un mio vecchio professore, alle superiori, una volta mi disse che ci sono opere che, fruite in momenti diversi della nostra vita, sveleranno aspetti che prima avremmo valutato diversamente o addirittura ignorato. Sfumature che avevano solo bisogno di maturare insieme a noi o dettagli che solo la mente giovane di un ragazzino potrebbe scorgere e fare suoi, ponendoli al di sopra di tutto il resto.

Quel professore mi fece l’esempio di un libro che fino a quel momento non avevo mai letto. Si trattava de Il giovane Holden. Mi disse di leggerlo, tutto d’un fiato e poi di chiuderlo in un cassetto. Mi disse di rileggerlo dopo qualche anno, magari dopo essere andato via di casa o essermi innamorato. Poi di metterlo ancora in un cassetto e di rileggerlo quando sarei stato adulto e avessi avuto un figlio. Feci come mi disse e mi accorsi che era come se l’opera di Salinger crescesse insieme a me. Come se avesse assimilato le mie gioie, le mie delusioni, la mia malinconia e la mia tristezza, il mio coraggio e le mie paure e me le riproponesse ciclicamente in un’altra veste, come se mi chiedesse di rimettermi costantemente in discussione, come il protagonista del romanzo.

Per i film succede più o meno la stessa cosa. Prendete Star Wars ad esempio: visto la prima volta, probabilmente con gli occhi di un adolescente degli anni 70’, era un film in grado non solo di incantare, ma addirittura di segnare l’intero immaginario collettivo di quel ragazzo e di tutta la sua generazione, come poi è stato. Quel ragazzino però sarebbe cresciuto e avrebbe rivisto il film qualche dozzina di volte, accorgendosi che quegli effetti speciali allora così sorprendenti (la Industrial Light and Magic nacque proprio durante la lavorazione del film per realizzarli) sono invecchiati piuttosto male, che gli Stormtrooper non riuscivano a sparare a un bersaglio fermo nemmeno da mezzo metro e che il mitico scontro fra Darth Vader e Obi Wan Kenobi, in realtà, è tra i combattimenti più goffi e peggio coreografati della storia del cinema. Quello scontro però, con qualche anno in più sulla carta d’identità, permetterà a quel ragazzino, ormai cresciuto, di percepire la solennità e la sensazione che qualcosa di epocale stesse cominciando. Una storia che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, come poi è stato. Una storia fatta di padri e di figli. Di ribelli, di predoni e vittime innocenti. Una storia fatta di spade laser e razze aliene. Tutto tenuto insieme da un legame indissolubile, un’energia che muove qualsiasi cosa nell’Universo. Non serve che vi dica di cosa si tratta vero?

E quindi torniamo al tema che caratterizzerà questo editoriale: quali sono i tre film più importanti della vostra vita? Avete solo tre titoli, uno per la vostra infanzia, uno per l’adolescenza e uno per l’età adulta.

Tre film che hanno caratterizzato gli anni fondamentali della vostra formazione, sociale e culturale. Emotiva e razionale. Pensateci qualche istante, non è facile rispondere, ne sono certo. E mentre ci pensate io magari vi racconto i miei, partendo dal film della mia infanzia.

Ho circa sette anni e sono cresciuto come la maggior parte dei ragazzini nati a cavallo tra gli anni 80’ e 90’ a suon di classici Disney. Un mondo fatto di buoni e cattivi, di distinzioni nette tra giusto e sbagliato e di valori assoluti come amore, amicizia, lealtà e coraggio. Eppure tra tutti quei capolavori d’animazione non c’è il film che ritengo il più prezioso della mia infanzia. Quello fu girato quattro anni prima che io nascessi, nel 1984, da un’allora praticamente sconosciuto regista tedesco, Wolfgang Petersen. Il film era tratto da un romanzo fantasy divenuto di culto. Si intitolava: La storia infinita. Se anche a voi è venuta la pelle d’oca solo a leggere il titolo e la vostra mente sta mandando in sottofondo le note di Neverending story di Limahl allora avete capito subito di quali sensazioni vorrei farvi partecipi, parlando di questo film.

Il giovane e timido Bastian rincorso dai bulli e chiuso in un cassonetto, l’incontro con un libraio un po’ pazzo e con un libro “che non fa per lui”, la fuga nella soffitta della scuola, la coperta sulle spalle e l’inizio di un’avventura che nessun bambino potrà mai dimenticare per il resto della sua vita. Perché tutti noi abbiamo sempre sognato di cavalcare un fortunadrago, di cavalcare come Atreyu ed il fido Artax per sconfiggere il Nulla (per favore sorvoliamo sulla scena della morte di Artax? No, non è che ci sto ancora male è che mi è entrata una bruschetta nell’occhio e non riesco a scrivere). Quella di Bastian e Atreyu è la storia di due bambini che combattono un male più grande di loro, più grande di qualsiasi altra cosa. Tranne che della speranza, la speranza di credere che ci sia del buono in questo mondo, come in quello di Fantàsia. Ecco, se dovessi dirvi perché La storia infinita è il mio film preferito dell’infanzia vi direi che è merito di Bastian. Lui ha sperato e soprattutto ha creduto. Ha creduto in se stesso, senza rendersene nemmeno conto. E un bambino timido e un po’ introverso se lo ricorda il grido di Bastian che cavalca Falkor e costringe i bulli a rifugiarsi nel bidone della spazzatura. E sempre quel bambino non potrà mai dimenticare la sensazione di rivedere Atreyu e Artax di nuovo insieme, a cavalcare nelle praterie di Fantàsia.

Il problema è che poi si cresce. Purtroppo o per fortuna si diventa grandi, è inevitabile. Si comincia a capire che non ci sarà nessun fortunadrago ad aiutarci se veniamo tormentati dai bulli, che non esistono regni incantati e amuleti che donano il coraggio che non abbiamo e, soprattutto, che non sempre esiste una netta distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Soprattutto, crescendo, si inizia a capire che ci sono delle scelte da fare nella vita. Scelte che hanno delle conseguenze, per noi e per le persone che ci circondano. I nostri genitori, per esempio. Loro vogliono il nostro bene e per tutta la loro vita tenteranno di proteggerci, di insegnarci come stare al mondo, senza sapere che quella è una cosa che non puoi insegnare a un figlio, perché dovrà impararlo sulla sua pelle. Per quanto tu possa insegnargli a fare la cosa giusta lui farà la sua scelta. E un giorno potrà capitare che la cosa giusta la faccia, ma per l’uomo sbagliato.

La cosa giusta per l’uomo sbagliato.”

E’ il 1993 e un cancro si porta via, il giorno del suo 71° compleanno, Robert Henry De Niro, meglio conosciuto come Robert De Niro Sr. Suo figlio, Robert De Niro, è uno degli attori più importanti e stimati del mondo ed ha appena perso il suo punto di riferimento, in un momento cruciale della sua vita e della sua carriera. Bob sta girando il suo primo film da regista, una storia scritta dall’attore Chazz Palminteri che sarà, insieme a lui, co-protagonista del film. E’ la storia di Calogero, un ragazzino di una famiglia italoamericana che cresce nel Bronx negli anni 60’. La vita di Calogero è divisa tra gli insegnamenti del padre Lorenzo (De Niro), onesto conducente di autobus che si guadagna da vivere lavorando e quelli di Sonny (Palminteri), temuto boss della malavita che amministra il quartiere ed il cui stile di vita entra nell’immaginario dei ragazzini che lo vedono impartire ordini ai suoi uomini, guidare auto lussuose e dare lezioni a chiunque osi sfidare la sua autorità. Bronx è uno di quei film che ti cambia la vita. Uno di quei film che ti fa crescere o almeno ti fa capire che prima o poi dovrai farlo. E, come dicevamo, crescere comporta il dover prendere delle decisioni, capire cosa si diventerà da grandi. E’ un gangster movie atipico, uno di quelli che scava più a fondo di quanto possa sembrare. De Niro indugia nell’animo dei personaggi con la sensibilità di chi quelle storie e quelle facce le ha vissute. Perché in un autista di autobus che a malapena può permettersi una bistecca una volta a settimana ma è fiero di poterlo fare in modo onesto e in un boss della mala che si ritrova decine di tirapiedi ma come unico vero amico un ragazzino, il figlio che non ha mai avuto, c’è un mondo intero. Due facce della stessa medaglia? No. Due universi distanti anni luce. Due uomini che hanno scelto cosa essere e che hanno sacrificato tutto per esserlo. E nel mezzo un ragazzino che non vuole deludere suo padre ma nemmeno tirare a campare come lui, continuamente diviso, come lo siamo stati tutti noi, tra il seguire i consigli del genitore e il fare di testa propria. E dire che era iniziato tutto per un parcheggio. Una stupida lite per uno stupido parcheggio. O magari no, non era solo per quello. Lo avremmo capito quando saremo stati grandi. E alla fine, come Calogero, abbiamo capito. Abbiamo capito che non c’è niente di più triste nella vita del talento sprecato. Lo ha capito anche il vecchio Bob magari, che di talento ne ha sempre avuto tanto, forse troppo per poterlo sprecare. Il film lo dedicò alla memoria di suo padre.

E’ buffo come alcune cose cambino nel tempo, ve lo accennavo poche righe più su, quando vi parlavo del giovane Holden. Il film di cui vi sto per parlare lo vidi quando ero molto giovane. Dovevo avere dodici o tredici anni. Mi affascinò a tal punto che capii immediatamente di aver assistito a qualcosa di unico, di irripetibile, nonostante le centinaia di film che avrei visto negli anni successivi. Quello sarebbe stato un film importante nella mia vita. Solo che non avevo ancora capito quanto. E’ di nuovo il 1984 e Sergio Leone, dopo un inizio di carriera per niente facile, è uno dei registi più apprezzati del panorama internazionale. Sta per realizzare il suo sogno: un gangster movie ambientato nell’America degli anni ’20. E’ il frutto di un lavoro di scrittura maniacale, estenuante nella sua densità ma soprattutto nella sua complessità. Gli portò via quasi quindici anni di lavoro e parecchie energie. Un’opera così mastodontica da dover essere l’ultima di una carriera incredibile. Leone, stremato da quello sforzo artistico fuori da ogni grazia di Dio, morì qualche anno dopo aver dato vita a quello che, probabilmente, è il più grande capolavoro della storia del cinema.

C’era una volta in America non è il bellissimo gangster movie che ricordavo da ragazzo. Nel momento in cui vi sto scrivendo ho quasi 33 anni e lo rivedo almeno una volta all’anno da quindici. C’era una volta in America è un film che parla di come cambiano le persone. Parla di come il tempo le cambi e le renda peggiori di quanto ricordassero, di quanto si sarebbero mai aspettate di diventare. E’ difficile raccontarlo a parole. Quante volte possiamo dire di aver assistito al racconto di una vita intera? La vita di un gruppo di ragazzini che volevano soltanto un futuro migliore di quello a cui erano destinati. Ma quel futuro, alla fine, è diventato più grande di loro. Più grande dei furtarelli da quattro soldi, più grande della prima scopata su un terrazzo, della prima sigaretta e addirittura più grande della prima volta che hanno visto morire qualcuno. Della prima volta che hanno ucciso qualcuno. E in questo interminabile racconto, mentre vediamo crescere Noodles nel rimpianto di una vita mai vissuta, vediamo un paese che cambia e cresce insieme a lui, fagocitando tutto e tutti in una spirale di soldi, violenza e crudeltà. C’era una volta in America chiudeva quella che nella mente di Leone era la sua “trilogia del tempo”, iniziata con C’era una volta il West e proseguita con C’era una volta la rivoluzione (il titolo originale che Leone pensò per il film, poi arrivato nelle sale col titolo Giù la testa). C’era una volta… Così iniziavano le favole di quando eravamo piccoli. Una volta, in un tempo indefinito che possiamo soltanto immaginare. Qualcosa che ormai non c’è più, che non potrebbe più esistere perché il mondo è cambiato e noi con lui.

La mia visione della vita e del mondo in generale hanno un debito grande come l’oceano con C’era una volta in America. Se dovessi scegliere il film con il quale penso di essere diventato adulto non avrei dubbi. Ancora oggi però, non mi vergogno di raccontare alle persone come non sia riuscito a comprenderlo fino in fondo. Come ancora cerchi dentro di me il significato di quella storia e di quel finale indimenticabile, che mi toglie il sonno ogni dannata volta.

Perché i grandi film è questo che fanno. Ti tengono sveglio la notte a pensarci e a riflettere su cosa hanno significato per te. E’ quello che mi è successo prima di scrivere questo articolo, quando ho rivisto uno alla volta i tre film che vi ho raccontato. Le emozioni erano tante ed erano tutte diverse. Mi sono accorto di essere diverso da come ero quando li vidi la prima volta. E alla fine era troppo tardi per dormire e troppo presto per svegliarsi.

Sono rimasto a guardare il soffitto con un sorriso ebete sulla faccia, cercando di capire che tipo di persona sono diventato e cosa ho fatto in tutti questi anni.

Poi me lo sono ricordato.