Un sacco bello (1980): Recensione

Un sacco bello, la recensione del fortunato film comico che ha segnato il debutto alla regia di Carlo Verdone. Uscito nelle sale italiane il 19 gennaio 1980

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

Nel 1980 Carlo Verdone debutta dietro la macchina da presa con Un sacco bello, il film comico di cui è anche il protagonista, affiancato da Veronica Miriel, Mario Brega, Renato Scarpa e Isabella De Bernardi. La pellicola inoltre annovera il contributo alla regia del grande Sergio Leone e la colonna sonora firmata dal compianto Ennio Morricone.
Un sacco bello è ambientato a ferragosto, in una Roma afosa e semideserta, ed è diviso in tre episodi che vede protagonisti altrettanti personaggi molto diversi fra loro: il burino di borgata Enzo, il figlio dei fiori o meglio, il figlio dell’amore eterno Ruggero ed il mammone ed ingenuo Leo. I tre ragazzi vivranno il 15 d’agosto in modo davvero comico, con il goffo Leo che si imbatte per caso in Marisol (Veronica Miriel), una ragazza spagnola di passaggio nella capitale, che non riuscendo a trovare un posto per dormire, si approfitterà dell’ingenuità del ragazzo per fare i suoi comodi a casa sua.

“A ma’, non c’è nessuno! Ma chi ce deve esse? Vabbè allora è pieno de gente! Ma scherzo, scherzavo!”

Enzo invece è un coatto chiacchierone che cerca di convincere l’amico Sergio ad andare con lui in macchina fino in Polonia alla ricerca di notti brave, e che vedrà il suo progetto andare in fumo poco dopo la partenza a causa di un malore del compagno di viaggio.

“Sei proprio un regazzino, pieno de complessi, pieno de paure!”

Infine il pacifico e pacifista Ruggero, un ragazzo che ha lasciato casa per vivere in una comunità hippie di Città della Pieve e che viene scovato dal padre a Roma mentre chiede l’elemosina al semaforo. Con la scusa di un caffè, il padre riesce a portarlo a casa assieme a Fiorenza (Isabella De Bernardi) e tenta di convincerlo a tornare alle vecchie abitudini con l’aiuto del cugino Anselmo, del bigotto professore vicino di casa e del mitico Don Alfio. Gli esilaranti discorsi degli avventori nel salotto paterno non sortiranno però l’effetto sperato nel mistico Ruggero che difatti tornerà alla comune con le sue convinzioni più salde di prima.

“Ma ‘n padre pò avè un fijio così, senza ‘na casa, senza ‘na famijia, co ‘e pezze ar culo, ai semafori a chiede l’elemosina?!…E co ‘sta stronza che so du’ ore che sta a masticà! Ma che te ciancichi, aoh!!?”

In Un sacco bello Verdone gioca con la gioventù dell’epoca e con una rosa di personaggi in netto contrasto fra di loro, con Leo che è l’antitesi perfetta dell’avventurosa ragazza spagnola che gira il mondo vivendo di espedienti, mentre lui è costretto a vivere sotto le direttive dell’invisibile ma onnipresente madre, che lo controlla e comanda a bacchetta. Ruggero invece è un ragazzo dai modi gentili che ha deciso di abbracciare lo stile di vita di una comunità hippie, perso nel contatto con la natura e con la misticità, mentre il padre, interpretato dal grande Mario Brega, è un uomo rude, dai modi grotteschi, manesco anche nei gesti affettuosi e fortemente aggrappato ai valori della famiglia, che cerca di riportare il ragazzo sulla retta via, ma che, con il suo modo di porsi, ottiene l’esatto contrario. Infine Enzo, il personaggio capostipite dei cafoni coatti e spesso riproposto da Verdone nelle sue pellicole, che racconta aneddoti ai confini della realtà per sentirsi importante, pieno di amici e di donne a suo dire, ma che viene sbugiardato nei momenti finali del film, dove dopo il malore di Sergio, si mette a sfogliare la sua vuota agenda telefonica e riesce a trovare a stento un altro compagno di avventure per ferragosto.

“Manco lo vojo sape’ ndo annate a dormi’. Me pijano li brividi me pijano!”

Con Un sacco bello Verdone racconta ironicamente le istituzioni, le ideologie politiche e religiose, la famiglia e la solitudine, servendosi di tre maschere memorabili, protagoniste di altrettante storie dallo sfondo tragico, che grazie all’estro del regista romano, caratterista di bravura strepitosa, fanno centro con la loro comicità fatta di atteggiamenti, parlate particolari, difetti e tic, riuscendo così a convertire la drammaticità in pura commedia e assicurando inevitabilmente il successo alla sua opera prima.