In the Mood for Love (2000): Recensione

In the Mood for Love, recensione del film diretto da Wong Kar-wai. Uscito nelle sale cinematografiche hongkonghesi il 29 settembre 2000

VOTO MALATI DI CINEMA 8 out of 10 stars (8 / 10)

“Non dobbiamo essere come loro”.

È così. I due protagonisti del film diretto da Wong Kar-Way non sono come “loro”… i rispettivi coniugi fedifraghi. No, preferiscono un innamoramento volutamente trattenuto, lieve come un soffio, un flusso emotivo che si dipana in un’architettura temporale limitata. Tratto da ”Un Incontro” (romanzo breve di Liu Yichang del 1972), ambientato negli anni Sessanta in un palazzo di un quartiere popolare di Hong Kong, “In the Mood for Love” (L’età della fioritura, nella traduzione cinese) narra la storia d’amore impossibile fra la signora Chan (Maggie Cheung) e il signor Chou (Tony Leung), vicini di casa che, dopo aver scoperto la relazione clandestina che lega i rispettivi coniugi, incrociano le loro linee esistenziali in una di quelle tappe della vita segnate da un destino comune. Sembrano quasi due figure planate da una sorta di mondo parallelo, la signora Chan e il signor Chou: lei, scolpita nel glamour dei suoi magnifici cheongsam, si staglia sullo schermo con la grazia e l’eleganza di una geisha, eguagliando nello stile il raffinato e affascinante signor Chou, con i suoi completi di lino e l’immancabile sigaretta all’angolo della bocca. Sono perfetti, i due, sembrano fatti l’una per l’altro, ma più scorrono le immagini, più si scopre che la loro rimarrà una storia sospesa e mai veramente in squadra fra potenzialità e applicazione, perché il filo conduttore dipanato da Won Kar-Way è più sottile, il carotaggio più profondo.

Personaggio enigmatico e spirito trasgressivo, scrittore delle sceneggiature dei suoi film, dietro gli immancabili occhiali da sole il regista di Shanghai nasconde uno sguardo che sa essere profondo ma anche laterale, e dopo l’insperato successo di “Happy Together” (1997), sovvertendo una volta di più le regole narrative cinesi, decide di trasporre su grande schermo una storia suggestiva che sfida la tradizione del film d’azione.
È l’esperienza del tradimento quella con la quale si confrontano i due protagonisti del film, l’altra faccia di una medaglia chiamata fiducia. Ai coniugi fedifraghi e amanti Wong Kar-Way non riserva nemmeno un’inquadratura, quasi fossero entità private della dignità di un corpo. Per il regista, la loro relazione è solo il pretesto narrativo che consente d’inscenare l’intersezione di due vite, quelle della signora Chan e del signor Chou, che scelgono con deliberata lucidità di non sedersi al tavolo del castigo per cibarsi di vendetta, preferendo invece fluttuare in una bolla di innamoramento platonico che è però un aprirsi l’uno all’altro, che esclude la menzogna dell’inganno. E nel condividere sogni e silenzi, impedendo ai loro corpi uno scontato incontro carnale, lui cercherà la grazia di lei che, a sua volta, lo inciterà a scrivere un romanzo sulle arti marziali dal sapore terapeutico. È una dolente, tersa e al contempo lucida elaborazione della ferita narcisistica, quella che traspare dai loro volti, che lascia presagire l’ipotesi del perdono, dimensione nella quale il cinismo non trova spazio per tarpare le ali al “puer aeternus” che vive in loro.

Supportato dalla splendida fotografia di Christopher Doyle, per accompagnare la vicenda della signora Chan e del signor Chou Won Kar-Way sceglie una colonna sonora che produce una reazione con le immagini che ammalia. E se la melodia d’epoca di Nat King Cole “Aquellos Djos Verdes” amplifica l’ambiguità dei gesti dei due interpreti, il valzer di Shigeru Umebayashi si fonde con l’andamento rapsodico di quella che è forse l’autentica protagonista della pellicola: la nostalgia. “Quelli sì, che erano bei tempi”, dice a un certo punto il signor Chou, “i tempi della tradizione, quando per conservare un segreto si cercava un albero, e si scavava un buco nel tronco per bisbigliare all’albero il segreto, per poi ricoprirlo col fango, in modo che nessuno lo venisse a sapere”. Perché la nostalgia è l’eterno desiderio di ritorno che alberga in noi, quando l’eco lontano dell’”età della fioritura” ci ricorda un tempo trascorso e ormai perduto. E allora quel dolore per situazioni già sfiorite che ferisce la memoria è come l’esperienza del tempo passato che dilaga sommergendo la dimensione del presente. Ma il fiume della vita scorre, e sarà così anche per la signora Chan e per il signor Chou. Lei non abbonderà il marito, lui farà altrettanto con la moglie; lei diventerà madre, lui proseguirà la sua carriera… ma nella loro memoria rimarrà sempre qualcosa da custodire nel tronco di un albero in un tempio cambogiano, proprio come fa il signor Chou alla fine della pellicola. Il segreto di un amore celato in uno sguardo fugace, in una mano sfiorata, in un sogno perduto. Perché forse c’è sempre un attimo mancante nel tempo che ci è dato di vivere.
Consigliato!