Diabolik (2021): Recensione

Diabolik, recensione del film diretto dai Manetti Bros. tratto dal fumetto creato da Angela e Luciana Giussani. Uscito nelle sale italiane il 15 dicembre 2021

VOTO MALATI DI CINEMA 6.5 out of 10 stars (6,5 / 10)

Parlando di Diabolik, ultima fatica del duo romano Manetti Bros (al secolo Marco e Antonio Manetti), artisti che con le loro particolari opere hanno saputo incuriosire il pubblico italiano, non si può evitare di considerare il periodo storico in cui è collocato, considerandolo, in maniera del tutto lecita, un’opera molto coraggiosa, un racconto anacronistico e in controtendenza rispetto alle opere più mainstream a cui le pellicole statuinitensi, trasposte da eroi cartacei, ci hanno abituato. L’origine travagliata, causata dagli effetti della pandemia, hanno fatto sì che la prima data di uscita, originalmente prevista circa un anno prima, slittasse tanto da trovarsi in contemporanea con il film più atteso di quest’anno: ‘Spiderman No Way Home’ di Jon Watts, arrivando alla impari con il prodotto targato Marvel non solo pensalizzato da una campagna marketing decisamente ridotta rispetto al colosso americano, portandosi, inoltre,  tutte le perplessità che le varie indiscrezioni a proposito della creazione della pellicola avevano portato alla luce. 

Il duo cerca di distanziarsi dagli stilemi più classici del canonico viaggio dell’eroe, stravolgendo il canonico climax che prodotti analoghi presentando portando, però, un racconto per lo più monocorde e, a mio avviso, con poca anima, nonostante il religioso rispetto attuato nei confronti dell’opera originale che risulta sicuramente omaggiata in pieno. Probabilmente complice la presenza della Astorina (storica casa editrice del fumetto). La storia, infatti, si svolge in un fittizio scenario di fine anni 60, caratterizzato non solamente da scenari e costumi del tempo ma, soprattutto, da un linguaggio ed una narrazione che, a tratti, potremmo considerare Camp (di una azione e di gesti di enfasi esagerata, secondo il ‘Passing English of the Victorian Era’), attingendo a piene mani dalle caratteristiche atmosfere del fumetto da cui è tratto senza considerare, però, la diversità del Medium attraverso il quale si esprime.  Se, effettivamente, il fumetto può permettersi determinate libertà dettate dal tipo di mezzo di comunicazione, il cinema, diversamente, ha altre leggi che risaltano, inevitabilmente, delle chiare stonature di sceneggiatura e scelte registiche che mi hanno decisamente lasciato perplesso. A scanso di equivoci, bisogna comunque considerare che la ricostruzione dei famosi luoghi tratti dalle opere delle Giussani è encomiabile e l’idea di creare una ambientazione sospesa tra noir e racconto supereroistico merita di essere apprezzata. 

Diabolik – Photo Credit Antonello&Montesi

La storia trascura deliberatamente le origini del protagonista, presentandoci immediatamente una scena di inseguimento, ad opera dell’antagonista per eccellenza del genio del crimine, l’Ispettore Ginko di Valerio Mastandrea , che ha il merito di introdurre la mitologia del re del terrore e mostrarci fin da subito quale sarà il tono della pellicola. Le vicende, quindi, ruotano attorno alla nascita e costruzione del rapporto con la bellissima Eva Kant, interpretata da una brava e affascinante Miriam Leone, attrice che ha saputo rendere giustizia alla controparte cartacea, sfruttando una scrittura coerente e finendo, inevitabilmente, ad essere la nota più lieta dell’intera operazione

Purtroppo, non si può dire lo stesso del protagonista assoluto della pellicola, un deludente Luca Marinelli che sembra essere stato inserito nel progetto senza, però, crederci veramente, fornendo una prova decisamente scialba e, soprattutto, monocorda, come, del resto, risulta gran parte del film. Il suo Diabolik è lontano dall’essere carismatico e i dubbi relativa alla poca attinenza del physique du rôle dell’attore romano vanno, a mio parere, a confermarsi, sfociando in dinamiche di una carica a tratti comica, ovviamente in maniera del tutto involontaria. Si conferma, invece, interprete poliedrico il buon Valerio Mastandrea, che riesce a donare carisma a un Ginko impoverito da una scrittura non propriamente ispirata, tirando fuori dal cilindro una prova più che convincente e costituendo, insieme alla Eva Kant di Miriam Leone, motivo di vanto della pellicola. Mi dispiace, tuttavia, dover parlare male di un attore che tendenzialmente ho sempre apprezzato come Alessandro Roja, ma aldilà di un personaggio poco efficace, e probabilmente diretto in maniera poco consona, tira fuori una prova da bocciare su tutta la linea, tra battute raggelanti e una recitazione terribilmente sopra le righe

Il tono che permea tutta la pellicola è incredibilmente serioso e cozza non poco con le dinamiche e i dialoghi a cui assistiamo, il montaggio non aiuta sicuramente una regia poco meno impattante, se confrontata con altre opere degli stessi autori come eSong’e Napule’ e ‘Amore e Malavita’, che tira su un prodotto decisamente lento e discontinuo, in cui le vicende sembrano delineare due storie ben distinte e dai ritmi opposti, quasi come stessimo assistendo a due episodi diversi della stessa serie, idealmente divisi da un avvenimento importante a metà film. La seconda parte tenta di recuperare i, decisamente pochi, momenti di azione sfornando, però, dinamiche che riescono ad annoiare nonostante il montaggio sostenuto da un lunghissimo split screen e una tensione che, purtroppo, non riesce mai a salire. 

Diabolik è un’opera coraggiosa nelle intenzioni e nella narrazione, in cui la cifra autoriale stravolge i dettami più classici di un racconto action che ci si aspetterebbe da una pellicola del genere. Purtroppo, la sensazione è quella di un’operazione riuscita a metà in cui la magra prova attoriale, di cui, purtroppo, del suo protagonista, e dei dialoghi poco convincenti, non hanno saputo supportare una ricostruzione minuziosa dell’opera originale, volendo ricostruire l’esatto Diabolik del fumetto, e una narrazione particolare nel suo essere anacronistica. Prodotti, insieme a Freaks Out, sicuramente perfettibili ma che dimostrano quanto il cinema italiano ‘di genere’ sia pronto a tornare prepotentemente a farsi sentire.