Great Freedom (2021): Recensione
Great Freedom, recensione del film diretto da Sebastian Meise. Uscito nelle sale cinematografiche tedesche il 18 novembre 2021
VOTO MALATI DI CINEMA (8,5 / 10)
Già vincitore del premio della Giuria nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes 2021, Grosse Freiheit (Great Freedom) di Sebastian Meise viene presentato in Concorso al 39° Torino Film Festival ottenendo il premio al Miglior Attore per Franz Rogowsky.
Nella Germania del secondo dopoguerra, tra il 1948 e il 1968, Hans viene imprigionato più volte per via della sua omosessualità. Per colpa dell’articolo 175, che considerava un crimine i rapporti sessuali tra uomini, il suo desiderio di libertà e amore viene sistematicamente frustrato e distrutto. L’unica relazione stabile della vita di Hans diviene quella con il compagno di cella Viktor, un omicida con il quale inizialmente i rapporti sono conflittuali, violenti e tesi. Il reciproco rifiuto, così come quello di repulsione mutano a poco a poco in amore.
Le volontà cinematografiche di Sebastian Meise sono evidenti fin dalla prima sequenza, quella dei rapporti sessuali clandestini intrapresi da Hans (Franz Rogowsky) in un luogo non meglio specificato ma monitorato continuamente dalle forze di polizia che proiettano queste immagini certamente intime ed esplicite poco prima del processo, pur di incastrare in tutto e per tutto Hans nel famigerato “paragrafo 175”, istituito fin dal 1871, che considerava crimini i rapporti tra persone dello stesso sesso.
La formula adottata ricorda quella documentaristica, l’ordine cronologico viene pressoché rispettato, fatta eccezione per alcuni flashback che di tanto in tanto interrompono l’evolversi dell’ultima incarcerazione di Hans, per raccontarci e mostrare che cosa realmente è stato il rapporto tra quest’ultimo e Viktor, l’ambiguo, scontroso e autodistruttivo compagno di cella.
Great Freedom appartiene in tutto e per tutto a quel cinema di denuncia che non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro rispetto agli elementi e fatti più scandalosi e crudi della vicenda raccontata.
Prova ne è la sequenza notturna nel diner per soli uomini, un vero e proprio girone Dantesco di lussuriosi e dannati filmato con camera a mano da Sebastian Meise che confeziona un momento cinematografico chiaramente orrorifico e fantasmatico, Hans d’altronde si muove come fosse un fantasma, per poi uscire dall’oscurità e tornare ad abbracciare la luce, dal metaforico al concreto.
Il film di Meise è in ogni caso una grande storia d’amore che non nasce in un clima di accettazione e gioia, piuttosto in uno ricco di violenza, scontri etici e morali, così come di ambiguità e volontà violente, subite e perpetrate.
Meise ci va giù duro, il suo è un cinema politico che per essere tale deve andare fino in fondo dimostrando quel coraggio e lucidità che a molti titoli simili, o comunque dalla tematica comune, o mancano o non appartengono affatto.
Nota di merito all’interpretazione eccelsa e davvero emozionale di Franz Rogowsky.