CODA (2021): Recensione
CODA, recensione del film diretto da Sian Heder e disponibile in streaming su Apple TV+ dal 13 agosto 2021. Candidato a tre Premi Oscar
VOTO MALATI DI CINEMA (7 / 10)
CODA, titolo originale e ben più evocativo del nostrano I Segni del cuore, è l’acronimo inglese per Child of Deaf Adults. La sigla si riferisce ad una persona nata da uno od entrambi i genitori sordi. Il titolo inglese permette immediatamente di centrare l’intento del film: raccontare le disabilità non più dalla prospettiva di colui che ne è affetto ma focalizzarsi sulla sofferenza e la solitudine di chi, di quella disabilità, ne soffre in maniera collaterale.
La storia è incentrata sulla famiglia Rossi, nella quale la giovane Ruby (Emilia Jones) si ritrova ad essere l’unica persona udente in una famiglia di non udenti composta dal fratello e primogenito Leo (Daniel Durant) e i genitori Jackie e Frank, rispettivamente Marlee Matlin e Troy Kotsur. Inevitabilmente Ruby si trova ad essere il filo di connessione tra il microcosmo che si viene a creare all’interno della famiglia, in cui la disabilità dei componenti della stessa porta a distanziarsi dalla società fortemente improntata sull’utilizzo di tutti e cinque i sensi, e il macro-universo esterno, tutta la comunità che va a formare la cittadina. Ruby dovrà cercare di imporre la sua indipendenza come persona ed individuo ed inseguire il suo sogno.
Sostanzialmente si tratta di un Coming of age in cui, però, la cornice narrativa nella quale la storia si districa diventa sempre più preponderante fino a che la cornice stessa diventa quadro, mostrando un delicato racconto non solo familiare ma una aperta accusa verso l’inclusività della società, raccontata attraverso l’alienazione alla quale una particolare condizione ti conduce.
Sian Heder, regista del film, sceglie di raccontare una storia e, soprattutto, veicolare un messaggio. La regia è quasi invisibile, i movimenti di macchina sono ridotti all’osso le inquadrature per lo più fisse, volte a premiare la ricchezza dei dialoghi, la composizione dell’immagine non è particolarmente ricercata e probabilmente la distribuzione in streaming su Apple + ha contribuito nella scelta di una fotografia per lo più televisiva in cui i piani lunghi sono ridotti all’osso e i lunghissimi quasi inesistenti. Questo favorisce una maggiore introspezione dei personaggi, i mezzi busti e, ancor di più, i primi piani esaltano le ottime prove attoriali della famiglia protagonista, permettendo di trasmettere pienamente gli stati d’animo nei quali riversano i personaggi che interpretano. A questo proposito, mi sento di premiare in pieno tutto il cast che ha svolto un lavoro egregio, menzione speciale per la giovane protagonista Ruby, che convince e coinvolge a più livelli e, soprattutto, l’immenso Troy Kotsur che qui probabilmente tira fuori dal cilindro una delle interpretazioni più brillanti della sua carriera, difficilmente trascurabili in ottica Oscar e, comunque, in lizza come migliore attore non protagonista in tutte le manifestazioni più ambite. Nonostante la mancanza di particolari vezzi registici la direzione della Heder riesce a sfornare un paio di intuizioni artistiche davvero notevoli, in particolare il ribaltamento del climax nella scena del saggio canoro finale, tecnicamente nulla di eccelso ma emotivamente di grande impatto.
La pellicola, tuttavia, non è esente da difetti, in molte occasioni il tono risulta troppo leggero rispetto alla gravitas morale che vorrebbe trasmettere, tutto ciò che ruota attorno a Ruby e al padre Frank risulta sensibilmente meno interessante ed impattante, così come l’attività dei genitori della protagonista passa notevolmente in secondo piano e ha una risoluzione abbastanza sbrigativa. Il messaggio di fondo potrebbe essere decisamente più significativo ma a volte si ha la sensazione di star guardando una commedia standard senza troppe pretese, in cui i personaggi secondari sono decisamente poco caratterizzate, quasi tagliati con l’accetta. Il film sostanzialmente è retto sulle emozioni che la famiglia Rossi riesce a trasmettere senza però venire aiutati da un plot che sia veramente solido. Perfino l’interesse amoroso di Ruby risulta sbrigativo e il legame che si crea tra i due risulta mancante di una chimica calamitante.
Sostanzialmente CODA è un bel film che trasmette un bel messaggio, tra i suoi punti di forza troviamo le grandiose interpretazioni dei suoi protagonisti al netto di una sceneggiatura non esaltante, il compartimento tecnico è chiaramente subordinato alla necessità di distribuzione sugli schermi casalinghi e, in questo senso, regia e fotografia sono decisamente sacrificati alla narrazione, ma nonostante questo la Heder riesce a trovare una quadra artistica che sa convincere. Sicuramente lontano, purtroppo, da un capolavoro di genere come quello a cui abbiamo assistito l’anno scorso: The Sound of metal, film con una tematica analoga in cui il suono è protagonista stesso della pellicola e le scelte registiche, e soprattutto la fotografia, riuscivano a veicolare un messaggio ben più ficcante e memorabile.