Belfast (2021): Recensione

Belfast, recensione del film scritto e diretto da Kenneth Branagh. Distribuito nelle sale statunitensi a partire dal 12 settembre 2021

VOTO MALATI DI CINEMA 6.5 out of 10 stars (6,5 / 10)

Dopo i pareri entusiastici di pubblico e critica, mi sono approcciato alla pellicola in questione con grande curiosità e speranza, la voglia era quella di assistere ad un racconto interessante sulla città natale del regista del film: Kenneth Branagh. Indubbiamente la pellicola presenta un forte carattere autobiografico, che la rende assimilabile ad un’altra opera uscita nel medesimo anno, È stata la mano di Dio di Sorrentino. Il regista irlandese sarà riuscito a rispettare l’attesa suscitata?

La risposta non è così netta, né tantomeno facile. Belfast è un film romantico, malinconico, un collage di ricordi e dichiarazioni d’amore verso la città che ha dato i natali al regista irlandese. La narrazione dà l’idea di districarsi attraverso racconti episodici di avvenimenti storici e privati di una famiglia di Belfast nel 1969, presentati quasi come ricordi sfumati di un momento vissuto tempo addietro. Il problema principale del film è che si ha la sensazione che questi microracconti nel racconto siano, talvolta, scollegati l’uno dall’altro senza dare l’impressione di seguire un filo logico che permetta di fare crescere il pathos narrativo.

Fin dall’inizio, tramite un bel piano sequenza, ci viene presentato un mondo incantato in cui il piccolo Buddy, armato di spada e scudo, lotta contro draghi immaginari nella sua amata Belfast. Il conflitto nordirlandese irrompe prepotentemente nella vita del giovane Buddy e della sua famiglia, in una sequenza ricca di tensione -probabilmente l’unica – travolgendo inevitabilmente lui e i suoi parenti, che si troveranno in mezzo alle faide religiose tra irlandesi cattolici e protestanti. Le rivolte che vediamo a schermo sono filtrate attraverso gli occhi dello stesso bambino protagonista – un sorprendente Jude Hill – andando inevitabilmente a edulcorare i fatti al quale assistiamo perché depurati dall’innocenza di un bambino.

Purtroppo, se da un lato questa scelta stilistica premia il romanticismo dell’operazione, dall’altra il tono edulcorato non permette mai di affrontare il dramma del momento, il pericolo che la sua famiglia sta vivendo, la tragedia di dover tagliare le proprie radici perché costretti dalle brutture della guerra. Perfino quando Buddy non è presente in scena, e di conseguenza gli avvenimenti a schermo non sono più filtrati dai suoi innocenti occhi, ma ci vengono presentati da linee di dialogo tra i genitori, o tra i nonni, non assistiamo ad un vero e proprio cambio di registro, mantenendo quella sensazione di racconto fiabesco, quasi giocoso, che però non può essere riconducibile a chi è perfettamente conscio della situazione di pericolo imminente in cui si sono loro malgrado ritrovati, per cui i genitori e i nonni.

Dal punto di vista tecnico la pellicola è ineccepibile, il largo uso di primi piani permette di indagare nell’animo dei personaggi, caratteristica permessa da un’ottima prova attoriale di tutto il cast, tra i quali spiccano le interpretazioni di Caitríona Balfe e Ciaràn Hinds nel ruolo della madre e del nonno. La fotografia in un elegante bianco e nero, diretta dal cipriota Haris Zambarloukos, e l’uso di campi lunghissimi e totali permettono di delineare una bellissima cartolina di quel luogo senza però mai caratterizzare veramente la città che dà il nome alla pellicola e darle un’anima.

Il paragone con il film di Sorrentino è inevitabile, trattandosi entrambe di pellicole con un carattere semi-autobiografico, in cui il contesto popolare diventa fulcro della narrazione. Se Sorrentino era riuscito a omaggiare e valorizzare la sua Napoli, stessa cosa non si può dire della città Irlandese patria di Branagh. Belfast viene valorizzata dagli individui che la popolano senza però riuscire a brillare di luce propria, l’attaccamento e il patriottismo dei suoi personaggi è tangibile però non si riesce mai a caratterizzare le vie della città e darle un’anima.

Allo stesso modo, come Sorrentino omaggiava i grandi registi che avevano ispirato la sua adolescenza, Il regista Irlandese omaggia i classici della sua infanzia, assistiamo a citazioni a Mezzogiorno di Fuoco, Nuovo Cinema Paradiso, Citty, Citty, Bang Bang e la resa è eccelsa, giustificata dall’immaginazione del piccolo protagonista che rielabora alcuni fatti atroci dettati dalle rivolte come se fossero scene chiave dei film a cui è tanto appassionato.

Belfast è sicuramente un bel film, che esplora con dolcezza e romanticismo le strade a cui il regista è tanto legato. Una favola dedicata “A quelli che sono rimasti, a quelli che sono partiti, a quelli che si sono persi lungo la strada”. Purtroppo, la sensazione è che manchi comunque qualcosa, un qualche collante che permetta di appassionarci alle vicende che si susseguono a schermo e una migliore resa del conflitto che qui appare sbrigativo, perfino nella risoluzione, e decisamente poco preoccupante.

Credit Photo: Universal
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