Mare fuori: La libertà oltre le sbarre
Mare fuori: la libertà oltre le sbarre
Approfondimento sulle prime tre stagioni di Mare fuori, Serie Televisiva distribuita dalla Rai e ideata da Cristiana Farina.
Nell’Istituto Penale per Minorenni di Napoli c’è una vista salvifica sul Mar Tirreno, che insieme alla pittoresca figura del Vesuvio sembra fare da contraltare all’ombra oscura della vita malavitosa del capoluogo campano. Attraverso le sbarre delle loro celle, i ragazzi e le ragazze detenuti desiderano di afferrare l’azzurro di quelle onde che sono sinonimo di libertà. Ma da cosa devono liberarsi?
Le prime tre stagioni di Mare Fuori, opera distribuita dalla Rai e ideata da Cristiana Farina, si snodano nell’IPM di Napoli e tra la coralità di personaggi vari, con storie individuali diversificate ma ragionevolmente equilibrate come in un unico prisma che forma molteplici colori. Il clamore di pubblico fin dalla prima stagione del 2020 ha proiettato la serie accanto al grande nome di Gomorra – La Serie, per etichettatura di genere, ovvero dramma sulla criminalità organizzata, e per l’ambientazione partenopea, ma le distanze dalla narrazione firmata da Saviano ci sono eccome. Sarebbe irrispettoso e superficiale, da parte degli spettatori nazionali, accostare il prodotto Mare Fuori a quello di Gomorra solo per la dialettica napoletana e lo sfondo malavitoso, in quanto la storia dei giovani reclusi all’IPM si svolge su più piani di lettura e rimane lontana da una intrinseca epicità che invece patina la narrazione di Gomorra. La plurale lettura di Mare Fuori riguarda proprio quella libertà che la semiotica del ‘mare fuori’ ricorda puntata dopo puntata. Facciamo un excursus generale, prima.
L’opera è confezionata con gli stilemi della fiction Rai a cui siamo già abituati, quindi sul piano di lavorazione – fotografia, montaggio, musiche di scena, sceneggiatura – non si trovano particolari cadute di stile, ma purtroppo si notano punte di patetismo evidente in determinate scene emotive, anche cruciali per la trama, che quindi perdono il contatto sentimentale dello spettatore. A ciò si aggiunge l’eterno problema della tv italiana: coniugare la lingua nazionale, ancora non del tutto codificata per l’arte scenica, a un qualsiasi dialetto – ed è ben visibile alla prova di Carmine Recano, superbo interprete del Comandante Massimo Esposito, che alterna battute in un italiano impostato e statico a battute in lingua napoletana, più viva e compromessa nella narrazione. Un plauso speciale va alla colonna sonora della serie, firmata da Stefano Lentini e dai suoi vari collaboratori, che sfrutta l’arte musicale come lascia passare a quel senso di libertà – di cui parleremo meglio a seguire – proprio della storia artistica partenopea, che non ha mai fatto mancare musica alla sua quotidianità. Non è un caso che più di un personaggio lega la sua vita al canto o ad uno strumento. Riguardo la recitazione non bisogna dare per scontato la prova dei più giovani. L’equilibrio di un cast navigato affiancato da un più vasto cast di volti nuovi non spaventa, visto che questi ultimi dimostrano professionalità e coraggio nell’immolarsi nelle psicologie di caratteri intricati e confusi, come solo gli adolescenti possono essere, specialmente se alle fragili spalle presentano quel tipo di esperienze. È la stessa coralità dei protagonisti il soggetto della serie.
Al centro dell’interesse dell’occhio ci sono proprio le corde che legano ogni individualità di Mare Fuori all’ambiente esterno. Alzando lo sguardo si può ammirare, affascinati ed impauriti, la trama reticolare della Camorra napoletana che intrappola la sua stessa prole in una ragnatela viscida di onore, rispetto, violenza, ricatti, patti di sangue e vendette. Allora, forse, non è l’IPM il vero carcere per i protagonisti. Qualcuno se ne accorge, qualcun altro no, come è lecito aspettarsi. In questa girandola di vite qualcuno arriva e qualcuno parte, ma questi fili fantasma dei clan mafiosi non svaniscono. La scarcerazione sembrava la libertà agognata, eppure oltre le sbarre per qualcuno non significa libertà ma morte, tanto da far desiderare un ritorno all’IPM, che è la cosa più vicina ad una famiglia che molti dei detenuti abbiano mai avuto. Ma quindi qual è il mare fuori tanto agognato?
La libertà che traspare dagli occhi dei personaggi di Mare Fuori è una fame insostenibile, che divora le acque del Tirreno in brame ma che non sembra mai prendere forma. L’asfissia delle celle dell’IPM non è nulla in confronto a quella del sistema malavitoso, e i protagonisti persi in dubbi esistenziali sui concetti di giusto e sbagliato sembrano così costretti ad una matrioska di imprigionamento: la cella, l’IPM, il sistema, sé stessi. Distante dalle titaniche scene di Gomorra, Mare Fuori incide, con caratteri standard del format televisivo, una trama più vicina al cuore dei protagonisti e meno alla violenza che li circonda, ma soprattutto stende sul tappetto di Napoli la condizione giovanile di molti; condizione fin troppo sottovalutata, ma il messaggio ora è arrivato forte e chiaro: il futuro è un destino da scrivere e non già scritto. Che ognuno ora scelga in quale prigione rinchiudersi, e, guardando il mare fuori, che abbia il coraggio di trovarne la chiave d’uscita.