Strade perdute (1997): Recensione

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Strade perdute (1997): Recensione

Strade perdute (Lost Highway), recensione del film diretto da David Lynch. Uscito nei cinema statunitensi il 21 Gennaio 1997.

Strade perdute è uno dei tanti viaggi onirici e complessi di David Lynch. Pellicola neo-noir del ‘97 con Bill Pullman e Patricia Arquette e l’immancabile colonna sonora dell’amico Angelo Badalamenti.

Dick Laurent è morto”

Fred soffre di un disturbo mentale che lo rende spesso confuso e ansioso, dubita che la sua ragazza Renee lo tradisca e quando improvvisamente nella loro villa iniziano ad arrivare delle videocassette che li mostra in strani atteggiamenti l’uomo crolla. Fred si ritrova in carcere accusato di aver ucciso sua moglie, ma non ricorda nulla dell’accaduto. Un giorno nella cella in cui è detenuto non è più lui, al suo posto c’è Pete, un giovane meccanico. Da qui in poi seguiamo le vicende di Pete, un ragazzo ribelle che durante una delle sue scorribande incontra Alice, la sua futura moglie. Presto anche Pete inizierà a manifestare insicurezze e ansie, ricordandoci Fred.

Sembravi tu, ma non eri tu..”

Strade perdute è un film stratificato di non facile lettura, contiene più storie e più personaggi chiave che si incastrano alla perfezione tra loro. Ci racconta la fragilità della mente umana facendoci dubitare della nostra, ci illude, ci fa riflettere e ci spiazza, anche attraverso un linguaggio visivo d’impatto. Un sogno che ci fa comprendere la realtà, realtà che non è una sola. Un incubo surreale e kafkiano che ci accompagna lungo la strada a folle velocità, ispirato anche a Vertigo di Alfred Hitchcock per la misteriosa dualità dei personaggi.

La follia di Lynch, assieme al suo aiuto sceneggiatore Barry Gifford, hanno strutturato l’intricata storia di Strade perdute basandosi sul Nastro di Möbius teorizzato dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius. Il nastro di Möbius è una superficie non orientabile dotata di un’unica faccia dove non esiste un lato superiore/interno e uno inferiore/esterno dove è quindi possibile ritrovarsi al punto di partenza solo dopo averlo percorso due volte senza bisogno di fare deviazioni lungo il tragitto, ma semplicemente continuando a camminare in avanti, all’infinito. È semplicemente un cerchio tridimensionale, che schiacciato su se stesso dà l’illusione di formare due percorsi diversi, ma parte della stessa superficie continua, imprescindibili l’uno dall’altro.

Forse questo è uno degli esempi più esplicativi della visione di Lynch, un regista che non pretende di dare spiegazioni logiche alle sue incredibili opere, ma solo infiniti spunti di riflessione e analisi.