Back to Black (2024): Recensione

Back to Black (2024): Recensione

Back to Black, recensione del film diretto da Sam Taylor-Johnson con protagonista Marisa Abela nel ruolo di Amy Winehouse. Uscito nelel sale Britanniche il 12 Aprile 2024.

VOTO MALATI DI CINEMA 7 out of 10 stars (7 / 10)

Attesissimo biopic che si accoda alla scia dei tanti che si sono susseguiti in questi ultimi anni per omaggiare e celebrare artisti che hanno lasciato un segno indelebile nell’empireo musicale per “Back to Black” il film è stato anticipato da uno stuolo di critiche aprioristiche come se non fosse possibile già in teoria cimentarsi con tanta materia scottante.
 
Marisa Abela, invece, restituisce sullo schermo una Amy che anche se non lascia percepire fino in fondo tutta la sofferenza che ha attraversato questa giovane donna fa del suo meglio, riuscendosi in modo egregio, per riportare in vita una straordinaria voce soul. La regia tende a soffermarsi sulla vita privata dell’artista, sulle sue pene sentimentali, su quell’unico incontro sbagliato che segnerà per sempre la sua fragile anima. Il biopic tralascia e trascura un po’ la parte prettamente artistica, quelle tappe della sua fulminea carriera che la portarono a vincere in un unico magico anno ben 5 grammy awards e a diventare regina indiscussa della musica.
 
Ci sono poche canzoni se non le più iconiche e famose ma, in compenso, tanta, forse un po’ troppa vita intima e privata. Questa però non viene raccontata fin nelle sue pieghe più nere ma sempre con un filtraggio meno crudo e meno torbido che non rende fino in fondo l’idea della perdizione totale di questa artista dal talento fuori dal comune.
 
Forse per un tentativo di smorzare il nero cupo che avvolse Amy e la trascinò sempre più giù fino ad un punto dove non era più possibile vedere nemmeno un infinitesimo spiraglio di luce e niente di quel bello che anche per lei ci deve essere stato. La nonna Cynthia per esempio che fu la sua icona di stile ma anche di vita, buon esempio e faro luminoso per non perdere la retta via. La madre che non si vede quasi mai nel film ma che le ricorda di essere stata sempre orgogliosa di averla avuta come figlia. Il padre meriterebbe un capitolo a parte e qui appare in una veste solamente positiva che non rende giustizia alla realtà dei fatti.
 
Il film ricerca, con una maniacale dovizia di particolari, di far vivere i luoghi che ha frequentato Amy, ricostruisce con minuziosa ricerca d’archivio abiti, trucchi e acconciatura. Marisa è la copia di Amy, identica nell’esteriorità. Se da un lato è così somigliante a livello estetico quello che manca per fare della sua interpretazione, già molto buona, una performance attoriale perfetta è la personalità e il carattere. Un ruolo ostico già sulla carta e che avrebbe potuto ritorcersi contro questa giovane attrice come un boomerang è carente solo dal punto di vista psicologico ma è una sbavatura all’interno di tanto, ottimo lavoro.
 
Marisa interpreta Amy e la fa ricordare molto bene. In alcuni momenti sembra davvero lei a chiederci aiuto e su quel freddo marciapiede vorremmo abbracciarla per farla sentire meno sola.
 
Nel complesso il film che non era per nulla semplice da realizzare si avvale di un cast all’altezza e anche le scelte registiche, sebbene appaiano timide, hanno il pregio di non fare deragliare il film. La regia calibrata permette di far rivivere un’icona immortale della musica, con i suoi pregi e i suoi difetti senza mai esaltarli e nemmeno estremizzarli. Un ritratto sicuramente non a tinte forti che si sceglie scientemente di non eseguire forse per non scontentare nessuno.
 
Difficoltà estrema dell’operazione è data anche dal fatto che la morte dell’artista, che rimane ancora per alcuni aspetti avvolta nel mistero, è avvenuta non molto tempo fa e ancora la commozione e il dispiacere sono vividi e accesi nello spettatore.
 
Per chi non ha vissuto gli anni in cui si mosse e brillò questa cantante non stonerà troppo la ricostruzione che ne viene fatta. Per tutti gli altri si cercherà di colmare le lacune con ricordi personali di quei suoi turbolenti anni vissuti sempre con l’acceleratore a tavoletta.