Gran Torino (2008): Recensione
Gran Torino, recensione del film diretto e interpretato da Clint Eastwood. Uscito nelle sale italiane il 13 marzo 2009
VOTO MALATI DI CINEMA (7,5 / 10)
Detroit. Walt (Clint Eastwood) è un anziano ex operaio della Ford, reduce della guerra di Corea e da poco diventato vedovo.
Ha un carattere da duro, un rapporto inesistente coi figli, non gode di buona salute e, soprattutto, è animato da un profondo disprezzo nei confronti di chi è diverso da lui.
La sua intolleranza, a causa dell’esperienza bellica, è diretta, in particolare, verso gli asiatici ed è amplificata dal senso di accerchiamento che questi gli provocano da quando popolano in maggioranza il suo quartiere.
L’ostentazione del proprio senso di superiorità nei loro confronti è affidato alla grande bandiera statunitense che campeggia nel suo portico di casa. E poco importa se il proprio cognome – Kowalski – denunci un’origine poco americana e molto polacca: quel che davvero sembra interessargli, infatti, sono soltanto il suo labrador Daisy e la sua Ford Gran Torino verde scintillante, gelosamente custodita in garage.
Il tentativo di furto di quest’ultima da parte di Thao (Bee Vang), adolescente di etnia hmong suo vicino di casa, contribuisce a rafforzare lE proprie idee razziste.
Ben presto, tuttavia, Walt, dopo aver scacciato con le maniere forti una gang di teppisti intenta a bullizzare Thao e la sua famiglia, scoprirà che il ragazzo ha compiuto il gesto contro la propria volontà, costretto proprio dai suoi aggressori.
Per aver aiutato la famiglia del giovane, Walt guadagnerà la stima dell’intero vicinato e, a poco a poco, stringerà una profonda amicizia dapprima con Sue Lor (Ahney Her), sorella di Thao, e quindi col ragazzo stesso, il quale gli aprirà le porte del cuore e lo aiuterà a spazzar via tutti i suoi pregiudizi.
La pace ritrovata, però, sarà destinata a durare poco a causa della sete di vendetta dei teppisti di quartiere. Vendetta che costringerà il vecchio Walt a reagire ricorrendo a una soluzione a dir poco sconvolgente.
Clint Eastwood punta i fari del film sul rapporto tra Walt e Thao. Lo fa evolvere dal disprezzo all’amicizia e lo lascia culminare in una sorta di tenerissima relazione padre-figlio.
E’ in questo senso che Gran Torino assume i contorni di un racconto di formazione a doppio scambio: da una parte, Thao, orfano di padre, ha bisogno di qualcuno che lo guidi e lo protegga; dall’altra, il vecchio Walt ha bisogno di colmare i vuoti affettivi e di sentirsi padre come mai è stato coi propri figli.
Thao, grazie ai consigli di Walt, imparerà ad essere uomo, e, nel contempo, compirà un piccolo miracolo: mostrerà a Walt l’altro Walt, quello vero, quello che s’è nascosto in una corazza di pregiudizi per difendersi dal dolore e dai sensi di colpa.
Il giovane asiatico aiuterà il vecchio polacco a redimersi; a comprendere e ad accettare, al tramonto, che al mondo si è tutti uguali e che ognuno, nel rispetto dell’altro, è un universo e una possibilità.
E allora, il gesto finale di Walt non potrà che interpretarsi nel più ampio senso possibile; perché rappresenterà il suo modo di dire al giovane amico e alla propria famiglia una parola sino ad allora troppo difficile da pronunciare: “Grazie”.
Con Gran Torino, Clint Eastwood ci propone un racconto sulla diversità e sulla tolleranza di grande impatto emotivo.
Lo fa con l’intelligenza e il pragmatismo che gli sono soliti, evitando smancerie e mollezze, affidandosi al suo volto granitico e ai suoi modi spicci.
Il regista evita, tuttavia, ruvidità gratuite à la macho grazie a snelli sprazzi auto-ironici (l’involontaria gara di sputi con la nonna di Thao è, a dir poco, esilarante), che lo restituiscono in pieno all’iconico ruolo di duro dal cuore tenero.
Insomma, è il solito Eastwood dallo stile asciutto, abile nell’evitare toni celebrativi e nel costruire storie credibili e coinvolgenti.
Cadenzato da un’andatura pacata e sorretto dall’ottima interpretazione di Bee Vang, Ahney Her e dello stesso Eastwood, il film scorre piacevolmente rifuggendo da espedienti tesi alla captatio dello spettatore e ponendosi ad esso con assoluta autenticità. Quella stessa autenticità che probabilmente costituisce il vero fattore vincente della miglior filmografia “eastwoodiana”.
Per sillogismo, dunque, Gran Torino rappresenta uno dei più bei film del regista americano; un racconto che supera l’argomento primario del razzismo riprendendo i temi della redenzione e del rapporto adulto-giovane, già rispettivamente trattati nel doloroso Mystic river (2003) e nello struggente Million Dollar Baby (2004).
In breve, si tratta di un Eastwood d’annata; quello sobrio e crepuscolare che va dritto alla meta, affidandosi alla solita efficacissima ricetta: personaggi cesellati alla perfezione, sceneggiatura solida, direzione tetragona: ingredienti semplici come uova-guanciale-pecorino per la pasta alla carbonara…Già! Ma quant’è buona la carbonara!
Premio David di Donatello 2009 per il miglior film straniero.
Imperdibile.
P.S.: se per caso state a dieta, gustatevi comunque la Ford Gran Torino che dà il titolo al film: non fa ingrassare e in livrea verde è davvero magnifica!