We Are Who We Are (2020): Recensione
We Are Who We Are, recensione della miniserie televisiva diretta da Luca Guadagnino. Uscita in Italia il 9 ottobre 2020 su SKY Atlantic
VOTO MALATI DI CINEMA (8 / 10)
We Are Who We Are è il ritratto dell’adolescenza che non pensavamo di aver bisogno. Ambientato “somewhere in northern italy” (citando Chiamami Col tuo Nome, film di maggior successo del regista) in una base militare americana (un’America in miniatura alle porte di Chioggia per intenderci), il debutto seriale di Luca Guadagnino esplora la vita di due adolescenti in particolare, Fraser e Caitlin, e il loro tentativo di trovare un posto nel mondo.
Quello di Guadagnino è un ritratto delicato dell’adolescenza che rifiuta qualsiasi cliché televisivo ed evita un approccio commerciale. L’impressione è quella di essere davanti ad un abbozzo di sensazioni ed emozioni raccontate da un regista che è riuscito sublimemente ad immedesimarsi nella mente di un’adolescente. Una regia d’istinto più che di perfezione tecnica, che va a catturare quel mondo astratto e incompiuto di ragazzi e ragazze che stanno ancora cercando di orientarsi all’interno della società. Quello descritto in We Are Who We Are è un mondo talmente abbozzato che lascia spazio di esplorazione sufficiente per un eventuale seconda stagione, che Guadagnino ha dichiarato di avere il piacere di sviluppare nel caso ve ne fosse la possibilità. Un finale di stagione perfetto sì, ma una seconda stagione a cui non riusciremmo a dire di no.
In questa prima stagione il regista non si limita a documentare le esperienze dei vari personaggi, ma scava nell’anima di ognuno di loro. Ci trova libertà, disorientamento, solitudine e spensieratezza. Ci trova soprattutto uno sguardo attento alle piccole cose che rappresenta attraverso una particolare attenzione ai dettagli, ai sospiri, ai momenti di silenzio e a tutte quelle cose apparentemente irrilevanti. Siamo di fronte a due interpretazioni magistrali da parte di Jack Dylan Grazer (It, Shazam!) e Jordan Kristine Seamon e a una regia particolarmente curata che evita qualsiasi presa di posizione dichiarata, limitandosi a farci vivere e interpretare una narrazione visivamente amatoriale (le riprese intime e traballanti) attraverso gli occhi e il cuore dei protagonisti, utilizzando una composizione fotografica elegantissima che riflette lo stile del regista.
Il tutto è accompagnato da una colonna sonora particolarmente variegata: dall’indie italiano a quello americano, dal rock a una melodia piano-voce cantata da una meravigliosa Francesca Scorsese (figlia d’arte sì, ma anche splendente nel suo debutto come attrice). Su tutte le scelte musicali spicca il brano “Time Will Tell” dei Blood Orange: il viaggio interiore di Fraser e Caitlin li porterà geograficamente sempre più lontani dal loro punto di origine, concludendosi in una poetica Bologna sulle note di questa canzone.
“Time will tell if you can figure this and work it out
No one’s waiting for you anyway so don’t be stressed now
Even if it’s something that you’ve kept your eye on
It is what it is”
È nel testo di questo brano che riusciamo forse a cogliere l’essenza e la morale di questa serie. Luca Guadagnino ci sta raccontando di quanto sia normale e accettabile all’età di 14 anni non aver ancora trovato il proprio posto nel mondo. Non a caso, forse, il regista decide di esordire ogni episodio con la frase “right here right now” in sovrimpressione, come a ricordarci che gli innumerevoli dubbi e sbagli che ci accompagnano durante l’adolescenza non sono altro che un Luca Guadagnino, precedentemente alla regia di Chiamami col tuo nome e Suspiria processo di crescita personale da vivere un innocente carpe diem alla volta. Perché a quell’età “c’è ancora tempo per diventare una rockstar” ed è lecito non avere ancora chiara la nostra posizione all’interno della società. Magari siamo solo l’ombra di qualcosa verrà, ma nel caso cercassimo di essere già qualcuno o qualcosa, siamo semplicemente quello che siamo. E va bene così.