Il Divin Codino (2021): Recensione

Il Divin Codino, recensione del film diretto da Letizia Lamartire con protagonista Andrea Arcangeli nel ruolo di Roberto Baggio. Disponibile in streaming su Netflix dal 26 maggio 2021

VOTO MALATI DI CINEMA 5 out of 10 stars (5 / 10)

Le aspettative per Il Divin Codino erano abbastanza alte, ovvero quelle di vedere un film che raccontasse la storia di Baggio, ma, purtroppo, non è stato così. Pur essendo un lungometraggio, il prodotto si accosta abbastanza a “Speravo de morì prima”, Serie TV su Francesco Totti, con meno trash e meno storyline. É uno di quei film che se non conosci la storia di ciò che racconta non aggiunge nulla, anzi, rischia di confondere e di semplificare.

Il grosso difetto del film sono le omissioni di quello che è stato Roberto Baggio nel corso della sua carriera. I nuclei tematici sono una promessa fatta al padre quando aveva tre anni (e quindi il tema del rapporto con il padre), il buddismo e il rigore a USA ’94 contro il Brasile. Francamente troppo poco per la vita di Baggio. Sembra assurdo che abbiano omesso nel racconto la Juventus, l’Inter, il Milan, il Bologna e i mondiali del 1998. Aver tralasciato questi momenti della carriera di Baggio è francamente inaccettabile per chi è un appassionato del mondo del pallone. Ma la cosa ancor più grave è che attraverso questo film la carriera calcistica di Baggio è come se fosse stata messa in secondo piano per far posto “all’uomo dietro al Pallone”, un uomo sicuramente che è cresciuto e che ha trovato il senso della sua esistenza appunto grazie alla sua carriera calcistica, ed è un vero peccato che nel film non traspare tutto questo. Un film troppo scarno che celebrare la grandezza del Divin Codino.

Il quadro che ne esce è il ritratto di un uomo con le sue timidezze, i suoi limiti caratteriali, che cerca l’amore di un Padre (il quale gli dice: “Io ho otto figli e per me siete tutti uguali, tu potrai guadagnare i miliardi ma sarai uguale ai tuoi fratelli”) che non trovandolo litiga con gli allenatori. Nel film – chissà se andò così anche nella realtà – fu Carlo Mazzone (interpretato da Martufello) a comprendere la dinamica intrapsichica di Baggio.

“Tu litighi con gli allenatori come se fossero tuo padre, vorresti essere guardato con occhi speciali ma quando si hanno otto fratelli è difficile, come in una squadra di Calcio che siete in undici. Ma stai tranquillo, che per me sei il preferito”

Dopo questa frase Baggio, l’uomo, comprende aspetti di sé che nel film vengono mostrati nel suo riscatto durante il periodo a Brescia, cosa totalmente distorta perché la sua carriera continuò ad alti livelli anche dopo quel rigore sbagliato contro il Brasile.

La colpa di tutte queste mancanze, di queste distorsioni, non risiede sull’attore protagonista (Andrea Arcangeli), anzi, maniacale e preciso sia nelle movenze che nella somiglianza estetica, ma proprio in queste compressioni di sceneggiatura, in queste semplificazioni che non danno onore e non riescono a celebrare cosa Roberto Baggio ha rappresentato per quella generazione. Il messaggio che passa è un Baggio introverso, con problemi con il padre risolti con Mazzone-Martufello, il Buddismo e soprattutto quel rigore decisivo sbagliato ai mondiali.
Baggio è stato molto di più.

Un film deludente che vede tra gli aspetti positivi la colonna sonora di Diodato.