Darren Aronofsky, da Pi greco a The Whale: La perpetua filosofia di un autore
Darren Aronofsky, da Pi greco a The Whale: La perpetua filosofia di un autore
Da Pi greco a The Whale, un viaggo nel cinema di Darren Aronofsky attraverso le otto pellicole sin qui dirette dal regista e sceneggiatore americano.
Potete amarlo o odiarlo, idolatrarlo o criticarlo, ma Darren Aronofsky è sicuramente uno degli autori più influenti e importanti del cinema contemporaneo, un regista assolutamente non perfetto, nella cui filmografia si riscontrano alti e bassi, ma che, nel bene e nel male, è sempre riuscito a portare avanti la sua idea, la sua filosofia, la sua visione del mondo, così come ogni autore degno di questo nome dovrebbe fare. Le sue opere sono connesse da un unico filo, un unico tema: l’amore, nelle sue sfaccettature più oscure e pure.

Requiem for a Dream (2000)

Probabilmente uno dei film più famosi, se non il più famoso, di Aronofsky, non credo esista persona al mondo che, anche inconsapevolmente, non ne abbia ascoltato la colonna sonora. Il film riporta sugli schermi il concetto precedente su un piano ancora più morboso e, purtroppo, realistico, ci mostra degli effetti della dipendenza da droghe e, anche se in secondo piano, dalla televisione. Credo sia il film col quale Aronofsky possa essere approcciato più facilmente perché ci mostra in modo “semplice” il concetto centrale della sua filmografia, appunto l’ossessione, che sarebbe meglio definire con “l’amore verso l’autodistruzione”, che è allo stesso tempo l’amore per se stessi, in cui l’essere umano, per puro egoismo, si lega a ciò che più lo distrugge solo perché, apparentemente gli provoca piacere. E’ il lato più oscuro dell’uomo, l’egoismo come cancro che uccide l’individuo e chi gli sta attorno, portandolo agli atti più inumani; questo avviene ai personaggi interpretati da Jennifer Connelly e Jared Leto, a sua madre addirittura, attratta così tanto dal mondo illusorio dalla televisione, così come il figlio dalle droghe, da sacrificare se stessa per l’ottenimento del suo oggetto del desiderio. Un film più commerciale del precedente, ma che mostra, analizza e critica quella che è la nostra realtà in chiave, non totalmente, iperbolica, così da metterci di fronte all’orrore di cui siamo capaci.
The Fountain (2006)

Terzo film del regista e sicuramente il suo peggiore, egli tira in ballo un’altra tematica attuale, il cancro, immergendoci nella vita di un uomo che sacrifica ogni sua giornata per cercare di salvare la moglie malata. E’ il film più buonista dell’autore, che ha come difetto principale la messa in scena, la fotografia sui toni del giallo non è sicuramente una scelta vincente, così come determinate sequenze in cui dominano degli effetti speciali non ottimali. Alla base però sta la scelta poco originale della tematica trattata che, anche se declinata in modo unico, risulta ridondante. Niente più che un’occasione sprecata, ma che ha comunque dei concetti fondamentali, qui infatti l’amore, l’ossessione, vengono letti sotto una chiave più positiva, in cui l’uomo sfida l’immortalità per salvare la persona amata.
The Wrestler (2008)

Il cigno nero (2010)

Noah (2014)

Dio torna al centro del discorso in questo colossal del 2014, dirigendo un cast stellare Aronofsky ci racconta del suo punto di vista sulla storia biblica, tirando in ballo il rapporto dell’uomo con Dio e con i suoi simili. Noah (Russell Crowe) è un uomo benedetto e afflitto dal compito che gli è stato assegnato, lungo la strada verso il compimento del suo dovere sarà colpito dai continui dubbi che lo porteranno alla ricerca di una saggezza che non sempre è convinto di avere, ma che mostra ad ogni sguardo che rivolge alla sua famiglia, solo per poterla salvare. “Chi sono gli innocenti? Chi sono io per scegliere? Per giudicare? Decidere? Io sono innocente? E la mia famiglia?”, sono queste le frasi che rimbombano nella testa di Noah per l’intera durata della pellicola, egli arriva a metter da parte, in alcuni momenti, la sua umanità pur di fare il volere di Dio, finendo col mettere in dubbio la sua autorità per amore della propria famiglia, che si rivelerà amore verso Dio stesso. La sua famiglia non è da meno, è come se con questo film Aronofsky volesse dare un quadro generale dell’umanità, prendendo pochi personaggi eletti a rappresentanti di tutti noi, c’è chi fin dalla nascita ha la vita benedetta dall’amore del prossimo e chi, come Cam (Logan Lerman), è condannato alla solitudine fino alla fine e questo lo rende uno dei personaggi migliori dell’intero film; la sua ricerca di un luogo che sente come casa, l’anelare ad un amore che è convinto di meritare, il conflitto con la famiglia e il disperato tentativo di affermare se stesso fanno di lui un personaggio quanto mai realistico, la rappresentazione più nitida delle controversie dell’uomo, visto, tramite lui, come una creatura mista di luce ed oscurità, condannata alla tentazione ma con la scelta di non cedere. Sullo sfondo di questa tragedia familiare si annida l’umanità, i reietti giudicati colpevoli da Noah e da Dio, che incarnano il lato peggiore di noi: l’egoismo, la vendetta, la crudeltà più abominevole in favore della sopravvivenza, è qui che Noah viene messo a confronto con la sua controparte, Tubal-cain; i due leader declinano le medesime scelte in modi diversi, se Noah vuole sinceramente salvare la sua famiglia, gli innocenti, Tubal-cain non ha rimorsi nel salvare solo se stesso. I pregi e i difetti, la paura e il coraggio, luce e oscurità, generosità ed egoismo, amore e odio; ecco cosa Aronofsky dipinge sulla sua tela: le nostre contraddizioni, quell’umanità che riesce a renderci buoni quanto malvagi.

