Bee Movie (2007): Recensione

Bee Movie

Bee Movie (2007): Recensione

Bee Movie, recensione del film di animazione diretto da Simon J. Smith e Steve Hickner. Uscito nei cinema statunitensi il 2 Novembre 2007.

VOTO MALATI DI CINEMA 7 out of 10 stars (7 / 10)

Riconducibile allo stesso filone inaugurato con Zeta la formica nel ‘98, Bee Movie rappresenta uno step più avanzato della filosofia con la quale la DreamWorks Animation fa passare temi riconoscibili per gli esseri umani attraverso la suggestiva interpretazione del regno animale. Bee Movie è un film d’animazione del 2007, della piena età che sfrutta l’innovatività della tecnologia digitale applicata al cinema, specialmente d’animazione ma non solo (a questo periodo appartengono le punte massime toccate dalla computer-grafica al cinema, primo tra tutti Transformers, 2008, ma anche Iron man, 2008, prima che negli Anni 2020 l’abuso di questa innovazione la facesse declinare). Si tratta a mio avviso di un film molto moderno, che si presta ad una visione multilivello capace di parlare ad ogni età in modo diverso, come da originale canone DreamWorks, in un linguaggio comico esilarante. E’ un film che scade in alcuni punti, ma che trovo geniale in altri e che credo sia in grado di parlarci di qualcosa.

Un mondo complesso come quello rinchiuso in un alveare viene descritto in maniera che umanità e mondo animale si intreccino nelle caratteristiche della metropoli di strade roller coaster, mentre tutte le api vivono di un’operosità a cui la nostra società aspira ma che allo stesso tempo vede come alinenante. Le api sono lavoratrici instancabili da 27 milioni di anni, e non si sono mai fermate. Vivono in capsule tutte uguali che aderiscono alle forme dell’alveare, e conducono una vita consapevole della propria laboriosità e importanza (glorificate, come con la statua dell’ape che sorregge il mondo, emblematica di una funzione vitale di questa specie animale per il pianeta).

E’ un mondo vivace e le api trovano il modo di vivere spassosamente i ritmi inarrestabili che l’alveare e la natura richiedono. Ma sicuramente una prima cosa che ci mette in posizione di contrasto con questo mondo così orientato al lavoro, è che qui si fanno tre giorni di elementari, tre giorni di superiori, pochi giorni di formazione in totale e si lavora per il resto della propria vita: il film ci dipinge un mondo in cui di sicuro a pesare più dell’istruzione è il lavoro, che è la cosa fondamentale della vita di ogni individuo e che qualifica l’essere, cosa che a noi esseri umani in quanto specie, non va giù facilmente.

L’istruzione qui non interessa a nessuno, tanto è che la cerimonia di laurea dei due giovani protagonisti (Barry Benson, che percepisce la bolla che l’alveare e il suo sistema costituiscono, e Adam Flayman, per il quale seguire le regole è un’ovvietà) non impegna che pochi minuti ed inizia subito il loro simpatico tour alla scoperta dei mestieri possibili. In questo contesto, a vederlo bene Barry è l’outsider che incarna tutte le possibili turbe che gli esseri umani vivono tra i venti e i trent’anni, quando devono trovare un proprio posto nel mondo e prendere strade per realizzarsi, angosciati dalle riflessioni, dai dubbi, dalle preoccupazioni e animati da sogni e convinzioni che devono far emergere, spesso in costante conflitto con quanto hanno intorno: ma qui vere queste turbe è un’eccezione. Barry ha dentro di sé tutto questo conflitto giovanile, ma è un’ape, l’unica che non riesce a limitarsi a pensare apese e che si pone il problema: non c’è alternativa a questo unico binario così stretto nella vita in alveare?

Queste questioni fluiscono dai sapienti dialoghi iniziali, mentre veniamo inebriati dai colori e dalle dinamiche interne di questa vita dai ritmi assurdamente frenetici, tipici di chi non può permettersi di fermarsi perché non vive a lungo e nel suo arco di tempo deve contribuire ad un sistema importante: questo propone moltissime riflessioni sul tema ecologico, fa leva sulla nostra necessaria consapevolezza che le api hanno un ruolo fondamentale per il mondo in cui viviamo, anche se le api non sono così profondamente consapevoli, come vedremo. La questione ecologica assume persino ruolo di causa legale, portata avanti da Barry quando scopre che il miele prodotto a fatica per una vita intera dalle api viene consumato in vario modo dagli esseri umani, che quindi derubano le api di ciò che è loro proprietà e frutto del loro sudato lavoro da milioni di anni. Ma nonostante questo, non è la critica ecologica a stare alla base di questo film, anzi, sembra piuttosto emergere tutt’altro.

Barry si prende un periodo di tempo per pensare a sé stesso, cosa inaudita per la popolazione apesca quindi anche per i genitori, figure cruciali che qui assumono pienamente il ruolo pressante di chi ti pone incessantemente di fronte l’imperativo: Devi fare qualcosa della tua vita, non puoi startene lì, senza che però vi sia possibile scegliere del proprio percorso: questa è la grande differenza e questo film ci porta alla scoperta del valore di scegliere. L’unica attività fattibile per la vita in alveare è contribuire al sistema produttivo del miele. Emblematico un dialogo di Barry con i genitori:
– Devo pensarci bene visto che sarà per il resto della mia vita
– Quale vita? Non ce l’hai una vita, non hai un lavoro, sei un’ape a malapena!
– Moriresti a produrre un po’ di miele?

Barry si trova di fronte al tabellone dei mestieri tra cui scegliere, momento impressionante se lo si guarda con occhi umani, visto che i posti di lavoro si liberano nel momento in cui un’ape muore e un’altra può prendere il suo posto. Fa riflettere vedere un’ape entusiasta di aver ottenuto il lavoro di raccoglitore della spazzatura, in una società evidentemente entusiasta all’idea di contribuire ad un grande meccanismo che funziona. Barry è l’unico a percepire che questo meccanismo funziona fin troppo bene, ma trascura qualcosa di essenziale. Quando il giovane deve prendere in pochi secondi una decisione che segnerà la sua intera vita, beh, non si sente di poterlo fare su due piedi. Barry ha un sogno: fare parte dei fuchi fichi, una specie di incarnazione dei Marines americani importata nel film, che sono gli unici a vedere il mondo esterno per raccogliere il nettare e impollinare. Ma come dice Adam, non puoi diventare come loro, ci devi nascere. Barry è affascinato dall’idea di uscire nel mondo che c’è fuori, non vuole soffocare nella bolla perfetta che l’alveare rappresenta per tutti/e e alla quale nessuno pensa mai.

A quanto dice Barry, lui vorrebbe contribuire all’alveare, ma non nel modo in cui tutti pensano debba essere fatto. Si prende il suo “anno sabbatico” contro la disapprovazione di chiunque, perché sente dentro di sè che il suo mondo corre troppo, sempre, senza sosta, e si chiede perché le api debbano essere schiave lavoratrici. A confronto con un mondo che funziona così e basta, Barry sente qualcosa di più e questa ostinazione giovanile che sembra animarlo lo porta a nobili pensieri ma anche a tragiche conseguenze. La sua tensione verso l’esplorazione del mondo esterno e la sua modernità nel contatto con l’umanità lo portano a prendere atto di incredibili difficoltà, ma anche a fare scoperte (ad esempio il fatto che non tutte le società animali funzionano allo stesso modo, come per le zanzare, che vivono in solitario, non hanno un senso fondamentale di comunità). Vedendo quanto lavoro le api portano avanti e scoprendo che c’è un’abbondanza di miele abusata dagli esseri umani, facendo sì che le api si riapproprino di quel surplus, Barry decide che la sua specie deve poter andare in vacanza. Così, dopo 27 milioni di anni, le api non lavorano più. Ma questo porta a delle ripercussioni enormi sul mondo, alle quali Barry non aveva pensato.
Senza il processo d’impollinazione che le api portano con il loro lavoro, il mondo si spegne. Barry scopre che il lavoro della sua specie è importante non solo per il miele, ma perché i benefici che inietta al mondo sono ben maggiori. E’ come se lavorare in alveare fosse scontato, ma nessuno avesse considerato appieno il valore di quel lavoro nei risultati che comporta. In un salvataggio del mondo last minute, ogni ape si rende consapevole dell’importanza del suo lavoro.

Rispetto all’illuminante finale di Zeta la formica, in cui Zeta afferma (a grandi linee): tutto è finito esattamente dove è cominciato, solo che stavolta l’ho scelto io, Bee Movie rivela valori più nascosti in una risata continua. Nonostante sia considerato sostanzialmente un film da ridere e nonostante la sua distanza dalla realtà ecologica delle api (deputate alle missioni all’esterno dell’alveare non sono i fuchi, ma le api bottinatrici, femmine sterili; i fuchi sono i maschi che dopo aver fecondato la regina vengono solitamente scacciati dall’alveare, non i soldati fighissimi, modello per i giovani maschi; c’è una sostanziale mobilità sociale nel sistema dell’alveare, per cui un’ape operaia muta la sua funzione nel corso di sei settimane di vita), credo che questo film abbia di più da dire, se si riesce a valutarne la sostanza tra le righe comiche e stravaganti, e quanto sembra dire è proprio che le scelte nella vita hanno delle conseguenze, che possono essere anche catastrofiche, eppure è importante che in un contesto di cui si abbia consapevolezza si scelga il proprio percorso.

Insomma, anche nella logica del superorganismo delle complesse società degli insetti, utilizzate come metafore di un’umanità alla lontana, si parte sempre dall’individuo, mentre non riusciamo a non proiettare sulla nostra specie quanto ci viene raccontato di questa società apesca, il film ci mostra il valore negativo e quello positivo di scegliere una strada, anche se ce lo comunica in modo poco poetico. Il talento delle èquipe DreamWorks sta proprio nel far passare sempre qualche significato, pur utilizzando un linguaggio sfrontatamente moderno e sublimamente ironico, apprezzabilissimo in età adulta.